Nei miei luoghi di origine, nel Monferrato casalese, in dialetto, è chiamata “gasia”. Appartiene alla famiglia delle Fabaceae (una volta Leguminose, in cui sono comprese, ad esempio, i piselli o le mimose). Si tratta della Robinia pseudoacacia, una pianta legnosa alloctona, cioè una specie che venne inserita dall’uomo in un ambiente dove prima era assente. Dunque è una specie esotica o in termine tecnico aliena.
Infatti l’introduzione avvenne ad opera del francese Robin (da qui il nome del genere Robinia) nel 1601, dagli Stati Uniti in Europa come pianta ornamentale e qui, si diffuse inserendosi soprattutto nei boschi, fino a sostituirsi con le specie del luogo. In Piemonte e non solo, ha occupato soprattutto i rilievi collinari del Po, del Monferrato. Ora diamo una descrizione del genere nelle sue caratteristiche e cerchiamo di capire la sua ecologia, perché la sua progressiva espansione non ha trovato limiti e perché la definiamo infestante.
La Robinia, è una pianta arborea che può raggiungere i 20 metri d’altezza, con un tronco ruvido e solcato da striature longitudinali. Dotata di foglioline ovali verdi chiare, alla base di queste sono presenti delle stipole, cioè foglie trasformate in spine (dunque attenzione!). I fiori sono riuniti in grappoli pendenti profumati e di color bianco. Molto conosciuto è il suo miele.
Al seguito della scarsa concorrenza con altre specie arboree, la Robinia ha avuto ampia diffusione, formando dense boscaglie, e dimostrando una forte adattabilità sia in terreni sabbiosi come in quelli aridi, ma anche argillosi. Proprio per queste sue caratteristiche, si utilizzò per consolidare, ad esempio, i pendii franosi e privi di vegetazione, giacché il suo apparato radicale si estende molto, permettendo di tenere compatto il terreno circostante. Inoltre, è una specie nitrofila, cioè ha una forte capacità di arricchire il terreno di azoto, favorendo lo sviluppo di un sottobosco denso, con arbusti e rovi. Ritengo assolutamente non adeguato, però, porla sui confini dei terreni agricoli, né sul ciglio delle strade in pianura, perché la Robinia ha una forte capacità di assorbire i fertilizzanti per le colture, sottraendo a queste le varie sostanze nutritive. Inoltre, importandola da noi, non ha trovato parassiti adeguati in grado di contrastare la sua diffusione, poiché quelli nel luogo d’origine ne contenevano almeno la distribuzione. È evidente poi che sui versanti collinari, con una certa frescura e umidità, sta cercando di occupare il posto della flora spontanea in modo progressivo, tanto che persino i funghi non trovano modo di espandersi sul terreno. Dove si trova infatti la Robinia, i funghi scompaiono. Se si diffonde formando un bosco, il fatto di possedere spine rende la zona, un’impenetrabile selva, soprattutto se il bosco è ceduo.
Noi definiamo una specie “pianta infestante” non perché è pericolosa, ma perché non utile all’uomo. Dal momento però che queste cominciano a diventare incontrollabili, si adottano mezzi d’intervento davvero poco ortodossi, portando, sia chiaro, a un progressivo deterioramento dell’ambiente circostante. Infatti, è pratica consolidata ricorrere all’uso del fuoco, in parte controllato, su superfici vaste. Purtroppo, questa tecnica è assolutamente controproducente, in l’ambito ecologico, per diversi motivi: primo, perché il passaggio del fuoco, provoca una serie di modificazioni fisico-chimiche nel terreno, in particolare un innalzamento del pH. Secondo, questo contribuirà a preparare un terreno idoneo che potrebbe ospitare solo specie che si adatteranno a quel tipo di pH, con il rischio di diventare infestanti a loro volta.
Ritengo doveroso ricordare che nei boschi in condizioni di equilibrio, delle infestanti molto difficilmente si trova traccia. Se in precedenza si sono applicate pratiche scorrette, i terreni possono andare incontro a un possibile degrado. Questo impedirebbe alle specie autoctone cioè del posto, di attecchire, non permettendo lo sviluppo e formando così fitte boscaglie di rovi. Se comunque le plantule dovessero superare gli stadi iniziali, sarebbero soffocate dalla veloce espansione delle infestanti. Questo problema è totalmente ignorato e si vede dal fatto che non c’è un consolidato piano d’intervento da parte dei comuni limitrofi. Inoltre le infestanti apriranno la strada alle altre infestanti. Intervenire in maniera corretta significa, innanzitutto, abolizione del fuoco sui terreni agricoli e non solo per questioni climatiche, eliminare le parti epigee cioè le parti sotterranee, con una paziente opera di ripulitura dalle restanti radici e il tentativo di reintrodurre le specie del luogo. Il tutto sotto il controllo di enti seri e qualificati. Ritengo importante dire che per gestire opportunamente i nostri boschi, bisogna saperne riconoscere le caratteristiche, le potenzialità e i condizionamenti.