E’ indubbio, perché confermato dai fatti, di come ci si trovi dinanzi a sfide su svariati fronti, sfide ambientali (l’impatto delle attività umane), socio-economiche (demografia e processo di Globalizzazione) e istituzionali (politiche a sostegno dell’ambiente). Dati alla mano, già a partire dalla prima Rivoluzione Industriale, studiosi economisti come Adam Smith (1776), Thomas Robert Malthus (1798), David Ricardo (1817), John Stuart Mill (1848) ribadirono, con velato pessimismo, che le prospettive di crescita economica di lunga durata non sarebbero state sostenibili per il genere umano.
A sin. Adam Smith; a ds Robert Malthus
Malthus inquadrava il problema nel rapporto fra crescita demografica (incremento della popolazione umana) e disponibilità di cibo (riduzione delle risorse). Ricardo fu meno pessimista ma solo perché vedeva, a torto, le risorse naturali come inesauribili: la riduzione dei terreni agricoli migliori e delle risorse minerarie non sono certo indici di inesauribilità. Quindi una crescita economica tendente all’infinito non era fattibile sia materialmente che sul piano ambientale.
Negli anni ’60 del secolo scorso, nacque dalla riflessione con altre discipline scientifiche (Fisica, Biologia, Sociologia), una nuova branca delle Scienze Economiche: l’Economia ambientale. Interessanti furono le osservazioni di uno studioso come l’inglese Kenneth Boulding (1910-1993) che definì, con delle similitudini, la necessità di passare da un’economia detta del cow-boy a quella detta dell’astronauta, cioè dalla continua ricerca di risorse da sfruttare (tipica dei cow-boy) e quella più oculata con il massimo recupero delle risorse per evitare gli sprechi (basilari nelle missioni spaziali). Il nostro pianeta, essendo un ambiente fisico finito, ha bisogno di riciclare il massimo possibile delle risorse ottenendo il minimo dello spreco, proprio come su un’astronave. Stava prendendo coscienza il fatto che il depauperamento continuo di risorse fosse un criterio devastante per l’ambiente.