Da 30-40 anni, la popolazione mondiale ha subito un incremento notevole. Questo è andato a incidere su quelle che sono le dimensioni del tessuto urbano, sviluppo senza precedenti. La popolazione subisce così un’esposizione, in maniera variabile, a tutta una serie di inquinanti, di contaminanti. Verso l’interno, la concentrazione delle sostanze è legata principalmente al traffico veicolare e verso le periferie, dalle attività industriali e agricole.
Il D.lgs 152/06 prende in considerazione tutta una raccolta di normative che riguardano la tutela della acque, del suolo, dell’atmosfera. E’ il cosiddetto T.U.A. (Testo Unico Ambientale) in via di perfezionamento. E’ un corpus normativo piuttosto pesante (Quasi 600 pagine, 318 articoli, 45 allegati, una decina di appendici, 6 parti). Comprende sostanzialmente l’80% in materia ambientale e non sono inclusi la tutela della fauna, della flora e l’inquinamento acustico.
Ma che cosa è l’inquinamento? Sostanzialmente qualsiasi alterazione delle caratteristiche fisico-chimiche dell’ambiente. Queste alterazioni possono essere di tipo naturali oppure antropogeniche.
I principali tipi di inquinamenti sono quelli IDRICO, del SUOLO, ATMOSFERICO.
INQUINAMENTO IDRICO: Si ha inquinamento idrico quando, immettendo in modo diretto o indiretto una o più sostanze nelle acque superficiali o sotterranee, si alterano le caratteristiche fisico-chimiche delle acque stesse. La contaminazione può interessare sia l’ambito MARINO quanto quello delle ACQUE DOLCI e avvenire su diversi fronti: URBANO, INDUSTRIALE, AGRICOLO.
URBANO: noi sappiamo che in città le acque hanno diversi tipi di utilizzo. L’inquinamento urbano si caratterizza soprattutto nei liquami o acque reflue. Ve ne sono di due tipi: domestiche e industriali. Nelle prime rientrano le acque di tipo residenziale. Riguardano le abitazioni che sono destinate per il solo consumo umano, come l’acqua potabile e che dopo il loro utilizzo risultano inquinate. L’acqua con la quale ci si lava le mani, si fa il bagno o la doccia, l’acqua di cottura delle verdure, della pasta o altri cibi, quella del lavaggio dei pavimenti, l’acqua di scarico della lavatrice o della lavastoviglie, dei sanitari, del bagnetto di animali domestici, ecc, sono considerate acque reflue domestiche.
Sono incluse anche quelle che riguardano i servizi: l’attività della parrucchiera o del barbiere, gli uffici, i poliambulatori, le scuole, le case di riposo, le mense, gli ospedali, alberghi, ecc. Questo tipo di acque reflue domestiche devono subire tutta una serie di trattamenti fisici, chimici e biologici per ridurre l’impatto inquinante. Rimuovere cioè le parti solide, quelle che sedimentano, la carica batterica per evitare che sorgano infezioni e si sviluppino potenziali epidemie, come il colera.
Un aspetto poco felice che riguarda le acque reflue sia domestiche che industriali in ambito urbano, è l’utilizzo smodato, eccessivo, dei cosiddetti tensioattivi sintetici cioè tutta una serie di composti che, in presenza di acqua, devono rimuovere lo sporco. I tensioattivi si suddividono in saponi e tensioattivi sintetici. Come fanno i saponi e i detersivi a eliminare lo sporco?
Noi sappiamo che lo sporco, (ad esempio quello delle mani o dei vestiti) si lega a una superficie attraverso complesse interazioni elettrostatiche. Vi sono cioè attrazioni di polarità opposta, positiva e negativa, che attirano le cariche fra loro. Lo sporco riesce quindi a legarsi al tessuto attraverso questo fenomeno. Compito di queste sostanze sarà quello di diminuire le forze di coesione fra sporco e tessuto.
I primi, sono formati da sostanze quali sali di sodio e potassio uniti a catene organiche che prendono il nome di acidi grassi. Hanno il vantaggio di essere piuttosto compatibili con l’uomo e l’ambiente in quanto biodegradabili, ma presentano un inconveniente non da poco: in presenza di l’acqua dura, cioè ricca di sali di calcio e magnesio, viene meno il loro potere pulente e ad alte temperature si possono formare incrostazioni conosciute come calcare. Per ovviare a questo inconveniente l’industria dei detersivi ha creato i tensioattivi sintetici. Questi presentano degli aspetti peculiari come il fatto di costare poco in quanto derivanti da idrocarburi (petrolio) e in presenza di acqua dura non presentano problemi come i saponi.
I tensioattivi sintetici si possono suddividere in 4 categorie: non ionici, anionici, cationici, anfòteri. I tensioattivi non ionici non hanno carica elettrostatica, hanno la capacità di lavare a basse temperature, detergono bene e siccome sono poco schiumosi vengono utilizzati come prodotti per la lavastoviglie, la lavatrice e agiscono anche in presenza di acqua tendenzialmente dura. Nella categoria degli anionici rientrano i saponi, i quali hanno carica negativa e sul mercato sono quelli maggiormente presenti. Sono particolarmente efficaci contro lo sporco unto. Producono molta schiuma. I cationici hanno carica elettrostatica positiva, sono praticamente sali di ammonio, hanno una pessima capacità di rimuovere lo sporco, ma hanno un forte potere battericida e vengono usati per produrre ammorbidenti e anche nella cosmetica. Gli anfoterici li troviamo nei prodotti a mano (per pelli delicate, per l’igiene intima, shampoo, ecc.).
Un riferimento particolare meritano prodotti come i brillantanti utilizzati nelle lavastoviglie. L’assorbimento di detersivi da parte dei piatti, normalmente impiegati ad uso domestico per il consumo dei cibi, può avvenire a causa di incrinature nella ceramica o nella porcellana: per fenomeno osmotico si ha una penetrazione dei prodotti chimico-tossici derivanti da detersivi e brillantanti all’interno del vasellame durante il lavaggio a mano in acqua calda o in lavastoviglie.
Durante il successivo raffreddamento e asciugatura del vasellame, i pori presenti nella ceramica dei piatti tendono a richiudersi, intrappolando così al loro interno le sostanze chimiche dei detersivi. All’atto dell’aggiunta del cibo caldo sul fondo del piatto (es: pastasciutta, brodo, ecc), il riscaldamento della ceramica determina la riapertura dei pori, con dismissione quindi delle sostanze all’esterno della ceramica, che entrano così a contatto con il cibo. Inoltre non respirare le esalazioni dei vapori della lavastoviglie durante il funzionamento quando si apre lo sportello. I gas con il caldo possono essere dannosi per la salute.
Per capire la possibile contaminazione chimica, si può evidenziare con un semplice esperimento la capacità di assorbimento delle ceramiche o delle porcellane. Si può inserire nel microonde un piatto con sopra dell’acqua distillata. Normalmente l’acqua si riscalderà subito ma la ceramica sana resterà fredda. In presenza di incrinature o pori, l’acqua penetrerà nelle fessure in superficie, si riscalderà in maniera tale che anche il piatto ne risulterà intiepidito.
I composti che caratterizzano i tensioattivi vengono detti eco-persistenti in quanto trovano ben pochi meccanismi in grado di degradarli in maniera soddisfacente, andandosi così ad accumulare e rendendo difficoltosa la loro degradazione. INDUSTRIALE: Gli inquinanti di tipo industriali nell’ambiente urbano sono quelli che derivano dai cicli di produzione lavorativa, industriale e artigianale. Quando si parla di inquinamento le lavorazioni industriali fanno tranquillamente la parte del leone. Presentano infatti una serie di aspetti che, se guardati con la lente d’ingrandimento, ci farebbero capire come l’impatto ambientale tra i più consistenti sia legato alla produzione industriale.
Primo aspetto: l’industria ci presenta un costo estremamente salato per quel che riguarda l’enorme consumo di acqua che viene utilizzata come scambiatore di calore e nei processi di refrigerazione, per esempio, nell’industria chimica. Per raffinare il petrolio occorrono 25-30 t di acqua, per una t di acciaio occorrono 100 t di acqua, 150 t di acqua per la sintesi di ammoniaca e 800 t per una t di rayon viscosa. Quest’acqua viene direttamente prelevata dalle aziende nelle falde profonde. Si tratta di acqua potabile di ottima qualità, incontaminata, ma che passando poi nei sistemi fognari risulta infetta per poi sfociare in fiumi laghi o mari.
Secondo aspetto: queste acque che arrivano dai cicli di lavorazione devono essere depurate, cioè devono subire un trattamento specifico per ridurre l’impatto ambientale prima che arrivino a sfociare. Tutto ciò riguarda, senza distinzioni il comparto petrolchimico, siderurgico, metalmeccanico, ecc.
Brevemente prendiamo in considerazione uno degli aspetti dell’inquinamento industriale che ha un impatto ambientale di notevole peso sugli ecosistemi acquatici: il fenomeno dell’eutrofizzazione.Mentre le acque fluviali sono caratterizzate da un inquinamento di tipo acuto, le acque lacustri presentano un inquinamento di tipo cronico. Mentre per i fiumi, realizzando le dovute opere di depurazione le contaminazioni acute possono regredire, nei laghi, proprio per lo scarso ricambio di acque, sono più propensi alla stagnazione e gli inquinanti possono lentamente aumentare in concentrazioni.
A cosa si deve ciò? Alla massiccia concimazione delle acque lacustri con composti nutrienti che andranno a sviluppare in maniera eccessiva le alghe. Queste, normalmente, rappresentano il fitoplancton, organismi unicellulari autotrofi, cioè in grado di sviluppare da sé le sostanze che serviranno per produrre nuove cellule, attraverso il processo della fotosintesi.
Gli elementi nutrienti per eccellenza che fanno proliferare in maniera eccessiva le alghe sono: azoto e fosforo. Per capire qual è il percorso di questi nutrienti analizziamo lo schema: le alghe o fitoplancton sono l’alimento per lo zooplancton (consumatori primari). Questi, a loro volta, sono alimento per il necton, ovvero i pesci (suddivisibili in consumatori secondari e terziari. Una volta esaurito il proprio ciclo vitale, decadono sul fondale arricchendo il bentos nel quale si sviluppa un’intensa attività batterica biodegradativa che libera i sali minerali; tra questi i due nutrienti azotati e fosfati, i quali si riportano in superficie alimentando il fitoplancton e chiudendo in tal modo la catena alimentare.
Quando però questo percorso virtuoso si inceppa, si creano squilibri: le acque diventano torbide, si colorano per eccessiva presenza di alghe, si ha carenza di ossigeno per la proliferazione batterica e sul fondale la decomposizione degli organismi libera sostanze tossiche quali metano, ammoniaca, sostanze solforate.
SUOLO: fattori come l’incremento delle attività industriali, dei consumi, di un’agricoltura di tipo intensivo, ecc, hanno aumentato la contaminazione del suolo. Inquinare un suolo significa alterarne le qualità biogeochimiche. Quando ci si accorge che un suolo è inquinato nella maggior parte dei casi la contaminazione è in stato avanzato, cosa che altera l’assorbimento, la filtrazione e l’ecosistema circostante. Spesso l’alterazione è talmente corposa che il danno appare irreversibile, perché, a differenza dell’inquinamento dell’acqua e dell’atmosfera, le sostanze tossiche nel suolo tendono ad accumularsi e concentrarsi per lunghi periodi.
Un accenno particolare all’inquinamento del suolo merita la cosiddetta agricoltura intensiva. Da una parte, negli ultimi cinquant’anni, questo tipo di agricoltura ha permesso di avere alte rese da un punto di vista produttivo, per andare incontro alle esigenze sempre crescenti della popolazione mondiale. Questo tipo di percorso però ci sta lasciando un conto piuttosto salato a livello ambientale per quel che riguarda il consumo di ingenti quantità di concimi, antiparassitari, diserbanti, fitofarmaci, riduzione di biodiversità. Aumentare la produzione significa aumentare la richiesta di fertilizzanti, di acqua, di erosione del suolo.
Un effetto che, con l’andare del tempo, ha scatenato e scatena tuttora un peso ambientale serio è lo scriteriato uso che è stato fatto dei cosiddetti pesticidi. Questi sappiamo sono composti usati per combattere organismi nocivi. L’utilizzo di queste sostanze, a lungo andare possono avere effetti negativi sull’uomo e sugli ecosistemi.
Proprio in virtù di ciò ci soffermiamo su uno dei pesticidi (per l’esattezza un insetticida) che forse più di ogni altro ha manifestato un tale impatto ambientale da lasciare strascichi ancora oggi, tale è stato l’uso intensivo: il DDT (diclorodifeniltricloroetano), il più famoso fra gli insetticidi. In passato, il DDT è stato l’insetticida più efficace per combattere la malaria. Siccome i primi insetticidi avevano una tossicità estremamente elevata, l’industria chimica sentì la necessità di dover produrre un composto che soddisfacesse queste richieste. Cominciò ad essere utilizzato a partire dal 1939. Infatti risultò essere poco costoso, stabile, pochissimo solubile in acqua, tossico con gli insetti e innocuo per l’uomo (almeno in apparenza. Siccome venne dimostrata la tossicità in seguito, in Europa e negli USA venne bandito l’uso dal 1972, in Italia dal 1978. Le truppe americane della seconda Guerra Mondiale si irroravano letteralmente di DDT per proteggersi dal tifo. Siccome il DDT è una molecola molto stabile, questa in presenza di acqua piovana quasi non si scioglie. Talmente stabile che bastava una spruzzata e per settimane non si avevano problemi.
I problemi legati a questo insetticida sono legati a tutta una serie di studi che dimostrarono un collegamento fra diminuzione di popolazioni di volatili e insetticida stesso, fra queste l’aquila testa bianca e il falco pellegrino artico. Venne dimostrato anche che, negli organismi, il DDT venne metabolizzato in DDE. Questo risultò essere ancora più tossico del DDT stesso. Si osservarono infatti un assottigliamento del guscio delle uova covate. Inoltre svaniva l’effetto insetticida Nell’estate 2002 vennero stati fatti studi sull’Everest che dimostrarono concentrazioni 26-28 volte superiori alla media annuale.
E’ interessante sapere che nel 2004 si potevano riscontrare nei pesci concentrazioni significative. L’uso è stato talmente elevato che si è riscontrato nelle specie aviarie, ittiche di superficie e anche in profondità, nelle calotte polari, nel deserto, nell’uomo. Studi su donne svedesi dimostrarono la persistenza del DDT nel latte materno mediamente in 4 anni, di 6 anni del DDE. La sostanza venne abolita per tre motivi: primo era pericolosa per i volatili, cancerogeno per l’uomo, persistente e tossico per l’ambiente.
ATMOSFERICO: le principali fonti antropiche di contaminazione dell’aria sono i processi di combustione industriali, del riscaldamento domestico e del traffico veicolare. Un aspetto con conseguenze devastanti soprattutto sugli ecosistemi ma anche sugli elementi architettonici di pregio, sono le cosiddette piogge acide. Questo non è un problema dell’Italia, della Russia o dell’Australia, è un problema globale. Le nostre cellule vivono in una condizione leggermente alcalina: 7,4. Nel 1979 la neve caduta nello Stato della Virginia occidentale aveva un ph di 1,7. Gli inquinanti che caratterizzano tale pioggia sono principalmente: CO2 (biossido di carbonio), SO2 (biossido di zolfo), NO2 (biossido si azoto). I seguenti composti, a contatto con l’acqua formeranno molecole con ph acido. Sui monumenti i problemi si riscontrano in particolare sulla pietra calcarea. Infatti l’acido solforico corrode il carbonato di calcio e lo trasforma in solfato di calcio, cioè gesso.
Le piante vengono attaccate su due versanti: la parte aerea cioè le foglie e quella ipogea cioè sottoterra con la modificazione della chimica del terreno con l’acidificazione. Anche gli organismi acquatici non ne sono esenti. I laghi dei Paesi scandinavi, oppure il Canada, gli USA risentono di questo fenomeno: lo sviluppo embrionale di alcuni pesci può cessare con ph fra 6 e con ph a 3 scompaiono la maggior parte delle specie ittiche. Esperimento con aceto, gesso e foglie.